Il processo di soggiogazione del Sudan da parte degli interessi imperialisti è iniziato nel 2007 con un intervento delle Nazioni Unite, culminato oggi con le proteste di cambio di regime e conclusosi con il colpo di Stato.
Il paese vessato dalla guerra civile conta sulla presenza delle forze dell’ONU nel sud del paese, separatosi tramite referendum per costituire il Sudan meridionale. Da quando è sotto la dominazione degli Stati Uniti, sta cedendo l’85% della sua produzione di petrolio agli imperialisti. La produzione petrolifera costituisce il 98% del reddito dello Stato sud-sudanese.
Nel dicembre 2018, la crisi economica nella Repubblica del Sudan, ha aperto la strada alle proteste contro il regime, e gli imperialisti non hanno perso l’occasione di chiedere una transizione politica verso un nuovo Sudan, quello più conveniente ai loro interessi.
Dopo l’intensificarsi delle proteste, il presidente della Repubblica del Sudan Omar Bashir “si è dimesso” e i militari hanno iniziato a preparare comitati che avrebbero garantito la transizione.
Mentre ci si attende l’esito finale nello scenario sudanese, il presidente algerino si dimette e passa il testimone ai militari. Un altro paese strategico produttore di petrolio per arrivare a cosa? Quando il portavoce del governo americano, il Washington Post, incoraggia le proteste contro il regime, c’è solo un’opzione sul tavolo: la transizione verso un altro Stato vassallo agli interessi dell’imperialismo.